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G. Fanello Marcucci, C. Marazzini, G. Di Leo e N. Maraschio
Il presidente Claudio Marazzini con Claudia Arletti e Mario Calabresi
Da sinistra: Benedetti, Givone, Benintende, Maraschio, Ravenni, Lavia
XII Convegno ASLI

Hipster, di generazione in generazione...


Quesito: 

Un lettore ci segnala un “nuovo anglismo” che sente spesso usare dai giovani; vorrebbe conoscerne origine e significato.

Hipster, di generazione in generazione…

Non si tratta di una parola nuova, ma di un termine che ha avuto un rilancio negli ultimi anni: nei dizionari italiani di neologismi è già attestata dal 1987 e nel 1988 è stata inserita nella trattazione del termine Beat in un articolo su “Lingua Nostra” (n. 49) come uno dei nomi dati a un membro della beat generation (esponente di spicco del movimento è Jack Kerouac con il suo romanzo Sulla strada del 1957, assunto a manifesto della beat generation che ha contribuito ad associare al termine beat i significati sia di ‘beato’ sia di ‘abbattuto’ e ‘vinto’, già in circolazione nel parlato colloquiale giovanile). Nel 1994 hipster è registrato in Parole senza frontiere. Dizionario delle parole straniere in uso nella lingua italiana (di Guido Mini, Bologna, Zanichelli)con la definizione di ‘oppositore violento del conformismo e del consumismo, che potrebbe considerarsi un parente degenerato dell’hippy’.

La parola è formata da hip ‘aggiornato, all’ultima moda, moderno’ con il suffisso -ster che serve in inglese a indicare l’agente, chi fa qualcosa. Quindi il significato nell’insieme diventa ‘chi si tiene aggiornato, all’ultima moda, chi segue la moda, tipo di ‘giovane anticonformista, caratterizzato da un particolare look fatto di capi d’abbigliamento della moda della seconda metà del Novecento con alcuni tratti di novità (occhialoni da vista, cappellino con visiera alzata)’.

Termine proprio della beat generation diffuso dal saggio Il negro bianco di Norman Mailer (1957) che ha spiegato – come già notò Italo Calvino (I Beatniks e il «sistema», 1962) – “chi è e che cosa vuole l’esistenzialista americano, lo hipster, l’uomo che vive nella presenza continua della catastrofe atomica, il bianco che s’identifica con la condizione perpetua di pericolo e di violenza in cui finora sono vissuti i negri, con il jazz come musica dell’orgasmo, il poeta che s’identifica con lo psicopatico, con il delinquente minorile, con il torero, con il santo e il mistico che vive per la morte…”. Hipster era già usato in America negli anni ’40 e ’50 per indicare un appassionato di jazz, ostentatamente indifferente alla politica e alla carriera e attratto dalle novità della moda più informale; dalla sua corruzione ha avuto origine hippy (‘personaggio speciale’, ‘tipo giusto’).

Recentemente ha avuto un rilancio per indicare giovani tendenzialmente disinteressati alla politica e con velleità fortemente anticonformiste che si riconoscono per atteggiamenti stravaganti e abbigliamento eccentrico e variopinto. In italiano hipster, insieme al derivato hipsterism (di cui si registra anche la forma italianizzata hipsterismo), era già stato segnalato tra i neologismi nel 1987 da Claudio Quarantotto (nel Dizionario del nuovo italiano, Milano, Mondadori) con la seguente definizione: “È il ribelle, l’anticonformista, il capellone (o aspirante capellone), il beat, il bruciato, l’apocalittico degli anni ’50. È chi rifiuta l’integrazione nella società in cui vive.” Attualmente, benché largamente diffuso soprattutto in rete (nei social network in particolare Facebook), è presente soltanto nell’ultima edizione (2012) del Vocabolario Zingarelli che, oltre al significato originario, aggiunge la nuova accezione di ‘chi, in base a una cultura individualistica e insofferente delle regole, si rifà alla moda vintage della seconda metà del Novecento, in particolare ai suoi aspetti più trasandati e anticonformisti’. Per gli anni immediatamente precedenti si trovano attestazioni anche nei giornali e la prima trattazione del termine nella nuova accezione l’abbiamo rintracciata nell’archivio del Corriere della Sera (2008).

Si può ipotizzare un recupero colto, occasionale che ha rilanciato questa parola ormai decisamente uscita dall’uso e dalla competenza dei più giovani, ma che proprio tra questi ha riscosso successo e ha ricominciato a circolare forse però, almeno questa è l’impressione, senza la consapevolezza della storia che le sta dietro. Con la parola sono stati riesumati e rispolverati anche abiti e accessori già visti e sfoggiati come ultima moda diverse generazioni fa, che oggi hanno perso però buona parte del loro fascino anticonformista.
Probabilmente per motivi anagrafici (anzi sicuramente, oggi la parola è completamente assente dalla competenza dei più giovani), mi torna in mente il paninaro, un termine che negli anni ’80 è servito a denominare chi si riconosceva in un gruppo ben definito e riconoscibile: i paninari, frequentatori delle paninoteche milanesi, mutatis mutandis non meno consumisti e omologati nell’abbigliamento rispetto ai nuovi hipster, avevano una denominazione costruita secondo le regole derivative dell’italiano con l’aggiunta del suffisso –aro, ampiamente produttivo proprio nel linguaggio giovanile (fricchettaro, casinaro, metallaro, cozzaro, paccaro) che ha tra l’altro favorito l’interscambio tra le diverse realtà regionali di provenienza centro-meridionale. Questo non ha tuttavia riparato il nome dalla sparizione nell’uso, mentre hipster è riemerso, recuperato chissà da chi e in quale parte del mondo, ma sicuramente favorito nel suo rilancio dalla potenza della comunicazione globale che talvolta – e direi che siamo di fronte a un esempio di questo genere – diffonde, insieme alle parole, l’illusione della loro originalità.

A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

21 maggio 2012