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Un tecnicismo dell’architettura di provenienza napoletana: ornia


Quesito: 

Un nostro lettore ci chiede alcune delucidazioni sul significato della parola ornia, oggi utilizzata soprattutto in ambito edìle e architettonico con il significato di ‘rifinitura perimetrale del varco finestra’.

 

Un tecnicismo dell’architettura di provenienza napoletana: ornia

 

Riprendendo alcune osservazioni fatte da chi ha posto il quesito e da chi ha cercato volenterosamente di applicarsi alla sua risoluzione, “non è cosa facile” rintracciare il sostantivo ornia e – lo dichiariamo fin da subito – il verbo orniare nella lessicografia dell’italiano: infatti, né nei dizionari storici né in quelli dell’uso figurano le due voci. Ciò spinge a formulare due ipotesi: o che la parola abbia un’origine e una vitalità perlopiù circoscritta e riconducibile a un dialetto e che quindi non sia riuscita a depositarsi nei repertori lessicali della lingua comune (anche il correttore automatico di Word sottolinea in rosso ornia come di consueto fa con le voci misconosciute); o che la voce vada considerata come appartenente esclusivamente alla terminologia settoriale o specialistica di ambito artistico e architettonico.

È proprio nella lessicografia dialettale, in particolar modo in quella napoletana, che si ha modo di rintracciare alcune notizie sulla nostra parola. Stando alle fonti consultate, il primo autore ottocentesco che lemmatizza ornia è Raffaele d’Ambra, all’interno del suo Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri (1873): a un primo significato strettamente tecnico ‘Voltatura dell’arco, Centina, Sesto, Giro, Orlo, Angolo de’ significati precedenti’, d’Ambra ne affianca un secondo, traslato con valore anatomico e con tratti simpaticamente scurrili: ‘Ornia de lo culo. anat. Sfintere, Orlo dell’ano, dove si appiccano le mignatte, Giro anale’. Ad accomunare le due definizioni fa da sfondo il riferimento a qualcosa che funziona come un contorno o un orlo, una cornice o un bordo. Lo stesso autore inserisce anche il verbo ornejare col senso primario di ‘Orlare’, a cui si aggiungono i significati secondari di ‘Girandolare […] Girovagare, Ronzare […] Dintornare’.

Un secondo dizionario ottocentesco è il Vocabolario del dialetto napolitano di Emmanuele Rocco: come dichiara Antonio Vinciguerra nelle pagine introduttive all’edizione da lui curata (Rocco 2018, vol. I, p. 14), tra le fonti lessicografiche consultate dal Rocco figura il già citato dizionario napoletano del d’Ambra, esplicitamente citato nella definizione di ornia che qui di seguito riportiamo:

Ornia. Orlo, Contorno. Picc. Poes. p. 190. (1826). Avenno l’ornia a chiù carte scacato. Parlandosi del culo è lo Sfintere, e quella regione che i Napoletani dicono pure Crespe. Cap. Son. g. 12. Lo bello lanternone de sso naso Po stare bene a l’ornie de sto culo. Il d’Ambra ha questi altri significati: Voltatura dell’arco, Centina, Sesto, Giro, Angolo de’ significati precedenti.

Il significato anatomico di ornia persiste ancora nella definizione data dal Rocco, che la testimonia con due citazioni autoriali: la prima fa riferimento alle Poesie Napoletane di Domenico Piccinni, edite a Napoli nel 1826 presso la stamperia di Saverio Starita; la seconda richiama la pagina 12 della Giunta, terza sezione dei Sonetti in dialetto napoletano di Niccolò Capassi, pubblicati a Napoli nel 1810 presso Gennaro Reale. La definizione si chiude, come già ricordato, con il riferimento all’ambito architettonico: qui l’autore si limita a riportare, passivamente e forse perché non è riuscito a rintracciare un esempio testuale che ne attestasse il significato, le parole del d’Ambra. Come quest’ultimo, il Rocco inserisce il verbo orniare col senso di ‘Orlare, Contornare’, seguito dalle consuete citazioni d’autore. Come vedremo, il sostantivo ornia e il suo derivato verbale orniare formano una “coppia fissa” nella maggioranza dei dizionari consultati.

Tra gli strumenti lessicografici novecenteschi, il binomio ornia/orniare sembra esistere ancora in ambito solo dialettale e con esclusivo riferimento alla lingua del capoluogo campano; eloquenti le vesti grafico-fonetiche con cui verbo si presenta inserito a lemma nei vari dizionari: ornejare, ornëjà’, ornià’, ornià. Sia sostantivo che verbo hanno più significati, da quelli generali e traslati a quelli specifici. Infine, varrà la pena ricordare che, sia per il sostantivo sia per il verbo, le definizioni riprendono, grossomodo, quelle dell’ottocentesco d’Ambra, dimostrandosene perciò debitrici. Così, il Dizionario dialettale napoletano di Antonio Altamura (1956) registra ornia col senso di ‘sesto, voltatura dell’arco’, mentre orniare si presenta nella variante tronca ornëjà’ con il significato primario di ‘orlare’, a cui si affiancano quelli secondari di ‘gironzolare, girovagare, ronzare’. Un po’ diverso il comportamento adottato dal Dizionario etimologico napoletano di Francesco D’Ascoli (1979), il quale lemmatizza ornia col significato di ‘cèntina, sesto, orlo’, con rimando al verbo ornià’ per la nota etimologica: qui, infatti, dopo il senso di ‘ornare, contornare’ accanto a quelli di ‘bighellonare, ronzare attorno, gironzolare’, D’Ascoli propone l’ipotesi di un incrocio per sovrapposizione tra il latino classico ornāre e il latino volgare orulāre (da orŭlus, diminutivo di ora, cioè ‘orlo’).

Fin qui, le definizioni citate per ornia non condividono molto con quella attuale – richiamata all’inizio e suggerita da chi ha posto il quesito – di ‘rifinitura perimetrale del varco finestra’. Per la registrazione di tale accezione si dovrà dunque aspettare il 1989, quando nel Dizionario Etimologico Napoletano di Provincia di Antonio Santella si potrà leggere:

òrnia- s. f.: Curva di arco, volta, centina; liste di marmo nel vano esterno d’una finestra, fissate a telaio; abbellimento. Etim.: voce costruita sul v. lat. «ornare» = allestire, adornare, incr. col lat. volg. «orulare», v. denom. da «orulus», dimin. di «ora» = estremità, orlo.

Nel panorama lessicografico del dialetto napoletano degli anni Duemila, nonostante l’incrementata definizione data da Santella alla fine del Novecento, il Dizionario napoletano di Sergio Zazzera (2013), registra ornia con l’unico significato di ‘sesto d’arcata’, affiancando al lemma la sua trascrizione in alfabeto fonetico internazionale che ne indica la corretta pronuncia: [‘ɔrniǝ]. Il Dizionario etimologico napoletano di Carlo Iandolo (2004) lemmatizza solamente la forma verbale ornià col senso di ‘contornare’ e di ‘girare intorno’ Nel Modern, Etymological Neapolitan – English Vocabulary. Vocabolario etimologico odierno napoletano-italiano di Piero Bello e di Dale Erwin (2009) ornia è registrato con il valore semantico di ‘stipite, architrave, cornice di balcone o finestra’.

Un piccolo appunto meritano le ipotesi etimologiche riportate dai dizionari esaminati. Molti di essi sono concordi nell’affermare che la forma verbale orniare derivi da un incrocio tra il latino classico ornāre e il latino volgare orulāre: tra i due verbi, infatti, potrebbe essersi creato dapprima un accostamento, poi una sovrapposizione e, infine, una fusione per similarità grafico-fonetica che ha generato una forma del tipo *orniare (l’asterisco precede l’etimo ricostruito, ossia quella voce più antica a cui può risalire una parola e di cui non abbiamo alcun tipo di attestazione). Anche il vocabolario di Iandolo (2004) sposa la stessa ipotesi etimologica, fornendo come voce di partenza il latino volgare *orniare. Il repertorio lessicografico di Bello e di Erwin (2009) è sicuro nella derivazione dal latino: “orno (preparo, allestisco, fregio)”. Più che a un incrocio tra i due verbi, si potrebbe pensare a orniare come un verbo sviluppatosi già in epoca latina: la formazione della desinenza ‑iāre accanto all’esito normale in ‑āre conosce un’alta produttività nel latino tardo, tanto da creare una gran quantità di forme allomorfe nelle lingue romanze, e dunque anche in italiano; ad es. amplare-ampliare, captare-captiare, levare-leviare, tractare-tractiare, ecc. Alla differenza tra le due uscite della prima classe spesso può corrispondere una diversificazione sul piano del significato, che rende i due verbi coinvolti semanticamente distinti (cfr. Poccetti 2004, p. 251). Alla luce di questo, nulla vieta di considerare orniare quale variante di ornare e, conseguentemente, ornia quale sostantivo deverbale a suffisso zero.

Da ultimo, vale la pena dare uno sguardo al mare magnum del web dove sono molte le pubblicità contenute nei siti e nei blog di edilizia e di architettura che propongono i più svariati materiali di copertura per ornie (che possono consistere in differenti tagli e tipologie di pietre, come il marmo o il tufo, oppure cornici in cemento precompresso dipinto, o ancora in profili decorativi prefabbricati, ecc.). In questi testi per ornia s’intende sempre e solo il perimetro delle pareti laterali interne delle finestre, e non genericamente ‘orlo, contorno’. Va precisato, inoltre, che la maggioranza delle ditte meridionali, specialmente quelle campane, che pubblicizzano materiali di rivestimento preferiscono il termine ornia; diversamente, le aziende del Nord prediligono imbotte.

Ecco un esempio tratto da nurith.it, che pubblicizza il prodotto “Decorline - La cornice per finestra e non solo…” (annuncio commerciale del 2015):

Nurith presenta Decorline - L’ornia per la tua finestra.

Il nuovo prodotto “Decorline” è una vera e propria cornice per finestra che si adatta a tutte le tue esigenze […].

In altri contesti, il termine architettonico ornia viene utilizzato per identificare il nome proprio del prodotto o del materiale da applicare, divenendo così un marchionimo e quindi scritto con lettera iniziale maiuscola. Così, scorrendo la pagina del sito New Coming – ecodesign factory, leggiamo:

Le finestre rappresentano uno dei principali punti critici di un involucro edilizio essendo la principale fonte di dispersione di calore. Eliminare i ponti termici che si creano nelle aperture dell’involucro edilizio è il primo passo per ottenere una migliore performance in termini di efficienza energetica.

Il profilo Ornia va incollato sull’intradosso delle finestre eliminando i ponti termici e il problema della steccatura o rasatura dell’intradosso stesso.

Quanto al significato del termine, si riscontra da parte degli utenti grande imbarazzo, in quanto (e più volte ribadito dagli stessi) si denuncia il silenzio dei dizionari della lingua comune che non riportano la voce. La giustificazione – veritiera, ma spesso data inconsapevolmente – dell’uso di un termine non comprensibile ai più consiste nel definire ornia come tecnicismo specifico oppure come parola dialettale e gergale (ma c’è chi, preso da un raptus di inarrestabile fantasia, la definisce addirittura come “sorella dell’ernia” o chi, gettata la spugna dopo faticose ricerche, conclude affermando che la parola non esiste). Di seguito riportiamo la risposta scritta da un utente sul sito Yahoo Answers alla domanda “che cos’è un’ornia” (riportiamo fedelmente il testo senza apportare correzioni):

termini specifici o che in gergo si utilizzano nel settore della lavorazione delle pietre dei marmi e dei graniti pertanto dovrebbe essere un elemento archittetonico.

Insomma, ornia pare un osso duro da digerire o meglio da definire. La necessità di dare un significato è così forte che, al momento opportuno, qualcuno si improvvisa lessicografo, come nel caso della definizione contenuta nel Glossario del serramento, realizzato da Chorus sverniciature, in cui, nella sezione “Elementi che costituiscono il vano”, possiamo leggere:

                         

Consultando il Devoto-Oli 1971 (l’edizione indicata del 1972 è inesistente), la voce ornia non compare a lemma, mentre è registrato il termine architettonico imbotte, definito come ‘la superficie interna di una volta o di un arco’, cui segue l’indicazione del sinonimo intradosso. Chi ha redatto il glossario ha inserito ornia quale sinonimo di imbotte, e si è servito di una parte del significato registrato dal dizionario nell’edizione del ’71 cambiandone la parte finale con il segmento testuale del vano finestra, delimitato però dalle doppie virgolette alte, a evidenziare l’avvenuta e intenzionale sostituzione. Insomma, un vero e proprio “pasticcio d’autore” che ha lo scopo di creare una definizione ad hoc per il termine ornia, supplendo a quel vuoto lessicale degli strumenti lessicografici non solo tradizionali ma anche tecnico-specialistici.

In sintesi: gli albori della storia della parola ornia vanno ricercati nel dialetto napoletano; in particolare – stando alle fonti da noi esaminate – la prima attestazione risale al 1873, quando la voce viene registrata dal vocabolario domestico del d’Ambra, con un significato già consolidato in ambito artistico-architettonico. Nel dizionario del Rocco, ornia assume il valore semantico generale di ‘orlo, contorno’, che si perpetuerà nella lessicografia novecentesca successiva (tralasciamo quello ironico e anatomico, puramente dialettale e direttamente ereditato dal d’Ambra). Solo con il dizionario di Antonio Santella, del 1989, ornia sarà registrato anche con il significato odierno di ‘linea o rifinitura perimetrale del varco finestra’.

Quella di ornia, dunque, è un’interessante trafila linguistica e semantica, frutto della vitalità della lingua legata al mondo dei tecnici, degli artisti e degli architetti: pur avendo già un’accezione tipicamente architettonica, la parola si è andata sempre più specializzando, fino a indicare il contorno individuato dalle pareti laterali interne delle finestre. Per questo, può aver giovato e giocato un ruolo di peso la forte carica visiva che accosta il concetto di “orlo, cornice, margine di un oggetto” a quello di “bordo, confine, limite esterno di un oggetto”. Quindi, se comprensibile è l’assenza del termine ornia nei repertori lessicali della lingua italiana contemporanea, rimane tuttavia aperto l’interrogativo sul perché non figuri, almeno, nei dizionari settoriali di architettura con quella specifica valenza semantica che assicura la comprensione di ornia tra i costruttori edìli e gli architetti di oggi.

 

 

Nota bibliografica:

 

  • Antonio Altamura, Dizionario dialettale napoletano, con introduzione storico-linguistica e note etimologiche, Napoli, Fausto Fiorentino Editore, 1956.
  • Pietro Bello, Dale Erwin, Modern, Etymological Neapolitan – English Vocabulary. Vocabolario etimologico odierno napoletano-italiano, Kindle Edition, 2009. 
  • Raffaele d’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri del professore Raffaele d’Ambra da Napoli, a spese dell’autore, 1873.
  • Francesco d’Ascoli, Dizionario etimologico napoletano, con una presentazione di Alessandro Cutolo, Napoli, Edizioni del Delfino, 1979.
  • Niccolò Capassi, [parte 1a: I sonetti in dialetto napoletano di Niccolò Capassi, primario professor di leggi nell’Università di Napoli. Divisi in due Parti, Con giunta di altri Sonetti sin ora inediti]; [parte 2a: De’ sonetti in lingua napoletana di Niccolò Capassi. Parte seconda. Alluccate contro i Petrarchisti]; [parte 3a: Giunta a’ sonetti in lingua napoletana di Niccolò Capassi, con un elenco disposto per ordine d’Alfabeto delle Voci non dichiarate nelle Note, per servire di Supplemento alle medesime], Al signor D. Gregorio De Micillis, Napoli, presso Gennaro Reale, 1810.
  • Carlo Iandolo, Dizionario etimologico napoletano, Napoli, Cuzzolin Editore, 2004.
  • Domenico Piccinni, Poesie napoletane di Domenico Piccinni, Napoli, presso Saverio Starita, 1826.
  • Paolo Poccetti, La variazione di registro come ragione di produzione e di circolazione di un testo: il Testamentum Porcelli, in Registros lingüísticos en las lenguas clásicas, a cura di Antonio Lopez Eire, Salamanca, España, Ediciones Universidad de Salamanca, 2004, pp. 235-268.
  • Emmanuele Rocco, Vocabolario del dialetto napoletano, a cura di Antonio Vinciguerra, Firenze, Accademia della Crusca, 2018, 4 volumi.
  • Antonio Santella, Dizionario Etimologico Napoletano di Provincia. Voci più in uso raccolte dal vivo parlare. Premessa di Giovanni Semerano, Avellino, Melito, 1989.
  • Sergio Zazzera, Dizionario napoletano. Uno strumento indispensabile per apprezzare la lingua viva dei partenopei ma anche l’arte di tante canzoni e poesie passate alla storia, Roma, Newton Compton editori, 2013.

 

 

A cura di Matteo Mazzone
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

11 July 2019